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Produzione sostenibile, parlano i fatti

Bmw, Parmalat e Tetra Pak, riunite in un convegno organizzato da Sps/Ipc/Drives Italia per dimostrare che le aziende vincenti possono essere attente all’ambiente

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Adolfo Violante

Cos'hanno in comune un produttore di automobili, un'azienda specializzata nel settore lattiero caseario e il principale costruttore mondiale di imballaggi? Apparentemente ben poco. Eppure i responsabili italiani di Sps/Ipc/Drives Italia, la fiera nazionale che il prossimo maggio vuole replicare a Parma il successo dell'analoga manifestazione tedesca, li hanno riuniti per un convegno dal titolo “Produzione sostenibile: un imperativo e un'opportunità per l'automazione”. Un incontro focalizzato sull'importanza della sostenibilità e dell'efficienza energetica. Due temi che rappresentano la grande sfida dell'automazione industriale. Un settore che, come ha precisato Johann Thoma, Managing director Mesago Messe Frankfurt, regista incoraggianti segnali di ripresa e vede l'Italia al secondo posto in Europa.

Quando l'auto consuma meno
Parlare di sostenibilità, per un'industria automobilistica, potrebbe apparire fuori luogo. Soprattutto quando il costruttore si chiama Bmw ed è noto, in tutto il mondo, per le proprie auto di fascia alta, indirizzate a un mercato tipicamente più attento alle prestazioni che non ai consumi. Al contrario, come ha spiegato Gianni Oliosi, Corporate Communication Manager della multinazionale tedesca, “la sostenibilità non è contraria al business”. Lo dimostra il fatto che, dal 1989, l'azienda tedesca investe proprio sulla produzione sostenibile e, da sei anni, in base al Dow Jones Sostainibility Index Word, Bmw è considerata il costruttore mondiale di automobili con la produzione più sostenibile. “Un riconoscimento”, sottolinea Oliosi, “che conferma anche la stabilità del nostro Gruppo, poiché investire in questa direzione permette di fare business”.
Produrre automobili in modo sostenibile, per la maggior parte delle persone, significa porre sul mercato soluzioni caratterizzate da bassi consumi. In effetti, con un'emissione media di 150 g di CO2 per km percorso (erano 195 g/km nel 2004) Bmw è oggi il marchio con le più basse emissioni, un risultato addirittura migliore rispetto alle utilitarie.
In realtà, i consumi di carburante rappresentano solo l'anello finale di un processo molto lungo e complesso, che vede l'intera azienda orientata ad una filosofia di sostenibilità a 360°. “L'intero processo di produzione deve essere sostenibile”, spiega Olivi. “Lo dimostra il fatto che i nostri motori sono realizzati senza nessuno spreco di acqua e, negli ultimi anni, abbiamo ridotto del 30% i  consumi di una delle risorse più preziose dell'intero pianeta”.
Eliminare qualunque spreco però, potrebbe sembrare un'operazione di facciata, con limitati ritorni economici. Una considerazione solo apparentemente corretta, soprattutto in considerazione dell'alto costo dell'acqua in alcuni Paesi. In ogni caso, volendo esaltare anche risparmi economici più significativi, Oliosi ricorda che a Spartanburg il 60% del metano utilizzato viene ricavato da una vicina discarica, riducendo così di 90 milioni di t di emissione di CO2. Un'iniziativa che, insieme alle altre, ha permesso a Bmw di ridurre del 27%, in soli tre anni, le emissioni di anidride carbonica. Un risultato che va di pari passo con la riduzione dei costi.

Il latte diventa 'green'
Un marchio prestigioso come Bmw, che propone le proprie vetture ad una clientela disposta a investire cifre elevate per possedere uno status symbol, gode il vantaggio di sfruttare la marginalità tipica di un brand di lusso. Ben diverse sono le esigenze di chi, al contrario, punta su una clientela attenta, in molti casi, anche a pochi centesimi di differenza. Eppure Parmalat, come conferma il responsabile della direzione impianti Filippo Ferrari, condivide con Bmw il principio secondo il quale “sostenibilità e business convergono”.
Del resto, con 12 stabilimenti in Italia ed altri 70 nel mondo, tutti focalizzati sulla produzione di beni di prima necessità, l'attenzione all'ambiente deve essere necessariamente elevata, così come è un imperativo l'utilizzo razionale delle risorse.
Ferrari detta quindi la necessità di un approccio tanto semplice quanto fondamentale: “Si migliora solo ciò che si misura”. Un principio che assume un'importanza fondamentale in considerazione del fatto che “l'efficienza non si giudica sulla scorta di sensazioni, ma di misure obiettive. Misuriamo le prestazioni di un impianto come se fosse un'auto da corsa.
Solo così possiamo conoscere al meglio le nostre macchine”.
In ambito industriale, il corrispettivo della telemetria è il Mes, che Ferrari definisce “Un approccio e non un semplice strumento, che ci consente di misurare, in modo obiettivo e non filtrato, le prestazioni di macchine, linee e conduzione”.
Proprio partendo da dati reali, disponibili a qualunque livello e privati di soggettività, è possibile far crescere il business e la sostenibilità. Per questo, ancor prima di implementare qualunque iniziativa di riduzione dei consumi energetici, Parmalat valuta le reali condizioni di ogni singola apparecchiatura. È così possibile comprendere, in modo immediato, quali siano le attività sulle quali focalizzare l'attenzione e, soprattutto, misurare i risultati concreti ottenuti. Una modalità che, oltre a verificare la bontà delle iniziative intraprese, permette di far crescere la competenza specifica e identificare, anche per il futuro, ulteriori ambiti di miglioramento, con la possibilità di replicare le iniziative di successo anche su altre apparecchiature o in differenti siti produttivi. Disporre di simili informazioni, inoltre, consente di allocare i consumi ai centri di costo, con la possibilità di conoscere i consumi e i rimedi attivabili su qualunque linea.
In questo processo di miglioramento progressivo, obiettivo e misurabile, assume un valore determinante l'approccio mentale delle persone coinvolte, che devono possedere reali attitudini autocritiche.
Un atteggiamento che non esclude la necessità di ottimizzare i consumi tradizionali e studiare la possibilità di sfruttare fonti energetiche alternative. Al punto che, solo nel 2009, Parmalat ha investito tre milioni di euro per migliorare l'efficienza energetica degli impianti. Oltre ad evitare qualsiasi spreco, un'attenzione particolare è stata concentrata anche sul corretto sfruttamento delle pompe utilizzate per la produzione di aria compressa. In passato, infatti, simili sistemi funzionavano solo in modalità on/off. Al contrario, l'applicazione di inverter consente oggi di modulare la produzione in funzione delle effettive necessità. Diverso l'approccio scelto per la sostituzione dei motori con soluzioni ad elevata efficienza. Simili apparecchi, infatti, hanno tipicamente un costo maggiore rispetto alle soluzioni caratterizzate da prestazioni inferiori. Prima di affrontare un maggiore investimento, però, il team di Ferrari ha scelto di valutare l'effettivo Roi delle nuove soluzioni sulla scorta dei consumi effettivamente misurati. Una modalità che permette di scegliere, con la necessaria consapevolezza, il particolare modello di motore da implementare. L'insieme di queste attività ha permesso, negli ultimi anni, una riduzione effettiva del 5,5% nei consumi di metano e del 4,9% in quelli elettrici. Percentuali particolarmente significative, soprattutto considerando che, mediamente, ogni anno Parmalat consuma 25 milioni di m3 di metano e assorbe 155 GWh dalla rete elettrica nazionale. Numeri che ben rappresentano come la riduzione dei consumi abbia effetti positivi, immediati, anche sui budget aziendali.

Abbasso gli sprechi
Sono numeri impressionanti anche quelli Tetra Pak, forte di 157 miliardi di contenitori realizzati ogni anno. Basterebbe questo dato per comprendere l'importanza della sostenibilità e della responsabilità sociale che contraddistingue le soluzioni di packaging firmate dalla multinazionale svedese. Valori che, come ha spiegato il direttore Supply Chain Italia Sergio Guastella, “ci hanno indotto a sottoscrivere l'impegno formale per ridurre, nei prossimi cinque anni, del 5% le nostre emissioni di CO2”.
Aver sottoscritto volontariamente un simile impegno, come ha spiegato Guastella, dimostra la possibilità di raggiungere l'obiettivo di contenere i consumi senza intaccare la redditività. I responsabili di Tetra Pak si sono così concentrati sulla possibilità di ridurre le risorse necessarie per ogni singola unità di prodotto. Un obiettivo che può essere raggiunto seguendo due strade alternative, ma non in contrasto: aumentare l'efficienza e ridurre gli scarti. I vantaggi di una maggiore efficienza sono chiaramente intuibili. Richiede un'attenta valutazione, invece, il contributo fornito dalla riduzione degli scarti: la quantità di risorse utilizzate per ogni singolo prodotto è infatti fornita dal 'banale' rapporto matematico tra la quantità di risorse assorbite, in termini di materie prime ed energia, ed il numero di contenitori conformi realizzati. Un maggior numero di scarti, ovviamente, riduce la produzione reale, ma non contribuisce a limitare i materiali e l'energia forniti. A questo è necessario aggiungere i costi degli scarti che, nella migliore delle ipotesi, devono essere ulteriormente lavorati (anche se questo comporta un'ulteriore consumo energetico), ma spesso vanno smaltiti con un ulteriore aggravio finanziario, oltre che ambientale.
Tetra Pak ha così scelto di operare nella direzione di un miglioramento continuo, che vede strettamente legati rispetto ambientale, qualità e riduzione dei costi. Una sorta di circolo virtuoso che si autoalimenta. “I clienti finali”, spiega Guastella, “vogliono ovviamente la qualità, che si declina in vari aspetti, uno dei quali è il rispetto ambientale, con la necessità di migliorare la sicurezza e ridurre l'impatto dei nostri contenitori utilizzati quotidianamente. Qualità e ambiente sono quindi strettamente legati dal concetto di efficienza”.
Come Parmalat, anche Tetra Pak ha così scelto di investire, in primo luogo, su un dettagliato monitoraggio dei consumi puntuali, con strumenti di misura istallati lungo le linee di produzione e che raccolgono informazioni dettagliate con cadenze prestabilite. Tutte le informazioni vanno poi  ad alimentare un reporter dedicato, che segnala sistematicamente, agli operatori di linea e ai responsabili della produzione, ogni scostamento rispetto alla situazione ottimale. Solo intervenendo tempestivamente, anche attraverso azioni predittive, a fronte dell'individuazione di trend negativi, è possibile minimizzare gli sprechi dovuti a prodotti non conformi. Una capacità che si ripercuote positivamente sulla produttività aziendale e sulla riduzione dei costi delle materie prime. I risultati numerici di un simile approccio sono evidenti. Al punto che l'azienda, dal 2003 ad oggi, ha ridotto del 25% i propri scarti.
Un risultato incoraggiante e ulteriormente valorizzato dal fatto che il 98% di tali scarti sono totalmente riciclabili e, per tale ragione, possono essere reimmessi, a basso costo, all'interno del ciclo produttivo o smaltiti agevolmente in modo differenziato.
Una caratteristica che ha consentito di passare, nello stesso lasso di tempo, da un'emissione di 5,8 t di anidride carbonica ogni milione di pacchetti prodotti a sole 2,2 t. A questo risultato, oltre ad una maggiore attenzione alla produzione e alle prevenzione degli sprechi, come spiega Guastella, ha contribuito anche la scelta di approvvigionarsi solo presso fornitori che garantiscono energia verde, ovvero prodotta nel più assoluto rispetto dell'ambiente: “Una scelta che, dal punto di vista prettamente economico, può essere considerata negativa, in quanto l'energia verde ha un costo leggermente maggiore rispetto a quella tradizionale. Si tratta, però, di poche decine di migliaia di euro totali, che non hanno nessun impatto percentualmente significativo sul budget di Tetra Pak, ma che qualificano la nostra attenzione alla sostenibilità della produzione”.
Dati confermati dal fatto che, ogni anno, vengono riciclate 17mila t di contenitori firmati da Tetra Pak così come, oggi, la metà degli italiani può buttare le proprie confezioni nei normali contenitori della carta. Gli involucri, infatti, sono stati ingegnerizzati per poter essere agevolmente riciclati, limitando l'impatto ambientale anche dopo l'utilizzo dei contenitori stessi.
Questo perché, come ha sintetizzato lo stesso Guastella, la sostenibilità non deve essere considerata solo all'interno del sito produttivo, ma deve iniziare in fase d'acquisto e continuare anche quando il prodotto viene utilizzato e, infine, smaltito.

Produzione sostenibile, parlano i fatti - Ultima modifica: 2010-12-16T15:36:49+01:00 da Lucia Favara