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Saper gestire l’imprevedibile

Attraverso il Business Continuity Management, Shell è in grado di affrontare tutti i rischi prevedibili, ma anche quelli inattesi

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Massimiliano Cassinelli

La storia industriale è costellata da aziende, apparentemente solide e consolidate, che, per un banale incidente, hanno subito un progressivo e inarrestabile declino, sino a scomparire dal panorama industriale.
Un rischio che nella realtà economica attuale, sempre più incentrata sulla produzione just in time, impone un’organizzazione assolutamente perfetta e che non ammette nessun intoppo. Anche in considerazione del fatto che, al contrario di quanto accadeva in passato, non esistono più le barriere geografiche e il proprio principale concorrente può trovarsi anche a migliaia di chilometri di distanza.
Diventa così imperativo raggiungere la continuità operativa che, già nel 2001, il Bci (Business Continuity Institute) ha definito “Una gestione tutto tondo, una visione generale per garantire la capacità di risposta e il superamento degli eventi negativi a garanzia degli interessi dei principali referenti, della reputazione del marchio e delle attività che creano valore all’organizzazione”.

Saper gestire l’imprevedibile è quindi una necessità da considerare già nella progettazione delle infrastrutture che dovranno supportare il business di un’azienda. Senza dimenticare che un’eccessiva ridondanza, quando non segue criteri scientifici, può rivelarsi addirittura costosa e inefficiente.
Del resto, in una fase economicamente delicata, è difficile far maturare, all’interno di un’azienda, la necessaria cultura della Business Continuity, ovvero la consapevolezza di quelle che possono essere le conseguenze di una mancanza di operatività.

Oltre la safety

Una situazione oggi ben nota in Shell Italia, che nel nostro Paese può contare su 400 addetti diretti e circa 300 in joint venture e consociate, ma che ha faticato ad affermarsi. Infatti, come racconta Ezio Veronese, Senior Business Analyst dell’azienda, il processo di consapevolezza ha preso forma, inizialmente, nel lontano 2000.
Complice la mancanza di obblighi di legge, è difficile far crescere la consapevolezza dei rischi in cui può incorrere un’azienda e, soprattutto, comprendere che, oltre ai danni economici diretti provocati da un incidente (solitamente coperti dall’assicurazione), esistono tutta una serie di ripercussioni in termini di mancate vendite e perdita di credibilità sul mercato. Però Shell, complice la visione internazionale del Gruppo, è stata una delle prime realtà nazionali a valutare concretamente i progetti di Business Continuity Management, proposti dallo stesso Veronese con il supporto di Luigi Corsaro, rappresentante del Business Continuity Institute in Italia e fondatore di A-Company. Una realtà, quest’ultima, specializzata nell’individuazione delle soluzioni più appropriate per prevenire, gestire e superare al minor costo possibile eventuali momenti di crisi operativa. “Nel nostro Paese”, spiega lo stesso Corsaro, “tutte le aziende prevedono piani di emergenza per affrontare l’immediato, ovvero consentire alle persone di salvaguardare la propria incolumità. Noi, invece, siamo concentrati su tutto ciò che accade dopo l’emergenza della prima ora: come continuare cioè l’attività, sia pur in misura ridotta, nell’attesa di ripristinare la piena operatività”.

Da dove cominciamo?


La vita delle persone, quindi, rimane prioritaria, ma è necessario che queste continuino a vivere e a lavorare salvaguardando quindi il contesto socio-economico in cui sono inserite.
In genere il compito di gestire la Business Continuity è delegato al responsabile It di un’azienda che, però, concentra la sua attenzione soprattutto sull’integrità e la disponibilità dei dati, con una limitata competenza per la continuità operativa.
Un approccio che è stato seguito, inizialmente, anche in Shell. Ma, dopo aver messo al sicuro i dati è maturata la convinzione di dover predisporre anche un ambiente in cui le persone potessero effettivamente utilizzare tali dati, garantendo così la continuità operativa. Il progetto è quindi stato delegato alla responsabilità del Financial Manager, lei cui competenze erano però indirizzate più agli aspetti economici che non a quelli operativi. Da qui la scelta, definitiva, di assegnare la Business Continuity al controllo diretto della direzione.
In questo frangente è emersa la necessità di coordinare adeguatamente l’attività di un dipendente interno, come Veronese, e di un consulente esterno specializzato nelle metodologie specifiche. “Solo un interno”, spiega Corsaro, “conosce esattamente i propri processi industriali e le esigenze in termini di qualità, mentre il consulente ha il compito di sviluppare i modelli adeguati alle specifiche esigenze di ogni realtà”.
Nel 2007 Shell ha così maturato la convinzione di allocare parte del proprio budget a questa attività. Una svolta significativa, che ha portato l’azienda ad essere una delle prime realtà italiane ad affrontare, con la necessaria consapevolezza, una simile esigenza.
L’approccio scelto, pur a fronte di una realtà con considerevoli utili d’esercizio, è stato quello di identificare le reali esigenze di continuità operativa attraverso una serie di interviste con tutti i manager aziendali. Una serie di incontri diretti, da cui Corsaro ha identificatole principali vulnerabilità, attivando poi un processo di progressiva ‘distillazione’, per definire una scala di priorità e realizzare progetti concreti ed efficaci anche in funzione del budget disponibile.
Un’attività di analisi molto articolata che, in alcuni casi, è servita agli stessi manager per comprendere le reali dinamiche della propria azienda e individuare eventuali punti deboli, oltre ai possibili rischi connessi all’imperscrutabile.

Dove lavorare

Da questo studio, come spiega Veronese, è emersa, in primo luogo, la necessità di disporre, in poche ore, di uno spazio operativo in cui coordinare gli interventi di emergenza e consentire al personale di riprendere la normale attività quotidiana. Un incendio, un terremoto, un’inondazione, un sabotaggio o qualunque evento imprevedibile, infatti, potrebbe rendere inagibile la sede principale. Ma questo non deve assolutamente interrompere l’attività, poiché pochi giorni di fermo, in un settore competitivo come quello petrolchimico, potrebbero essere sufficienti, ad un concorrente, per sottrarre alcuni clienti strategici. Da qui l’idea di individuare una sede alternativa, a debita distanza, in cui trasferirsi in tempo reale. Una soluzione che, avendo duplicato i dati su un server remoto, permetterebbe a Shell di garantire la continuità operativa del personale. Per tale ragione, in una prima fase, sono state individuate le 70 professionalità indispensabili al mantenimento del business. Un processo necessario per poi definire, anche dimensionalmente, le caratteristiche della sede provvisoria. Proprio l’individuazione di un edificio in cui operare ha rappresentato, economicamente, il passaggio più delicato dell’intero intervento. Esistono infatti società che mettono a disposizione una serie di uffici accessibili a fronte di eventuali emergenze. Una soluzione che, però, comporterebbe un affitto di circa 50mila euro all’anno.
A fronte di un simile investimento, Veronese ha valutato la possibilità di sfruttare gli asset aziendali inutilizzati. Da qui l’idea di adattare una palazzina, ex sede di un distaccamento della Guardia di Finanza a Lacchiarella, a uffici di emergenza. L’investimento richiesto è stato stimato in 120mila euro, a cui se ne sono stati aggiunti ulteriori 11mila di manutenzione su base annua. Mentre le apparecchiature informatiche installate erano già a disposizione di Shell, ma non utilizzate perché sostituite con macchine più performanti. “In pratica”, spiega Veronese, “con una spesa di soli 20mila euro all’anno, cifra del tutto irrisoria rispetto al bilancio dell’azienda e detassabile, disponiamo di una sede che ci consente, in poche ore, di riprendere tutte le nostre attività”.

Il manuale dell’emergenza

L’efficacia delle scelte è stata testata in due occasioni, durante altrettante esercitazioni, nel corso delle quali, in poche ore, sono stati evacuati gli uffici attuali e attivati quelli alternativi. “In queste occasioni”, spiega Corsaro, “abbiamo avuto la possibilità di individuare anche alcuni punti deboli della strategia adottata, apportando gli opportuni correttivi, compresa la possibilità di attirare sino a 90 postazioni di lavoro, seppur con l’ausilio del telelavoro, già ampiamente operativo in azienda Una flessibilità che potrebbe rivelarsi determinante a fronte di situazioni imprevedibili”.
I risultati del test sono stati registrati e riassunti in indicazioni operative che permetteranno, nel caso si verifichino situazioni analoghe a quelle ipotizzate, di disporre di un manuale operativo per affrontare un’eventuale crisi in modo razionale e pianificato, con responsabilità già definite e assegnate.
Un’attenzione particolare, inoltre, è stata prestata a tutta una serie di dettagli, come il corretto posizionamento dei ‘manuali di crisi’, aggiornati annualmente con nomi e riferimenti delle persone incaricate di assumersi le singole responsabilità, e strategicamente posizionati presso la sede, negli uffici di emergenza e in una banca. Siti che garantiscono la disponibilità immediata della necessaria documentazione, così come di una serie di password e codici riservati.
“Questo perché”, sottolinea Veronese, “in Shell facciamo Risk Management sin dagli anni Ottanta, ma il Business Continuity Management va oltre i rischi prevedibili, aiutandoci a gestire l’inatteso”.

Saper gestire l’imprevedibile - Ultima modifica: 2011-02-07T11:44:10+01:00 da La Redazione