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Vademecum per chi esporta in Cina

Da Intertek un aggiornamento su quanto c’è da sapere sugli scambi con la Cina, così da poter gestire i flussi di prodotti in condizioni di garanzia

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Virna Bottarelli

“Che si importi o esporti, in Italia o in Cina, l’obiettivo è sempre e comunque fare profitto”, dice Fabrizio Allavena, Marketing Manager Europe della Divisione Commercial & Electrical di Intertek, azienda internazionale che opera nell’ambito dei servizi per la qualità e la certificazione e che, in tema di import export con la Cina, può contare su una lunga esperienza.
Per fare profitto, appunto, e non andare incontro a costosi inconvenienti, occorre orientarsi in un complesso panorama di condizioni legali, procedurali e di certificazione della qualità. “Ci sono una serie di tappe obbligate alle quali è soggetto qualsiasi prodotto che deve varcare i confini europei e cinesi”, dice Allavena. “Si tratta dei requisiti minimi d’accesso dei diversi prodotti, di largo consumo o indirizzati a specifici settori da verificare attraverso una serie di procedure e regole con dichiarazioni di conformità, approntamento di fascicoli tecnici con descrizione dei prodotti, manuali d’uso per il loro corretto impiego, marcature ed etichettature”. Al momento di immettere un prodotto sul mercato, una qualsiasi azienda dovrebbe premurarsi di predisporre una check list contenente tutti i requisiti normativi a cui il prodotto deve essere conforme: occorre verificare, ad esempio, la conformità del fascicolo tecnico esistente alle normative che regolano la marcatura CE o le altre norme vigenti, valutare la conformità del prodotto ai fini della marcatura CE o delle altre norme vigenti, ottenere la certificazione da una terza parte con ispezioni sul sito produttivo, a supporto della marcatura CE, avviare ispezioni di conformità dei prodotti, da compiere presso la piattaforma arrivi dell’importatore con il controllo della corrispondenza del prodotto al fascicolo tecnico.

Parlando della Cina, in particolare, si deve considerare che il sistema di controlli adottato da questo Paese tende alla massima tutela del mercato interno: l’esportatore deve soddisfare una serie di requisiti formali e sostanziali, il cui rispetto è sottoposto a una verifica costante da parte degli organismi governativi. “Senza compliance”, sottolinea Allavena, “non ci sono speranze di esportare in Cina”.
L’esportatore che intende vendere in Cina deve ottenere la conformità ai GB standard (gli standard emessi dalla Standardization Administration of China, il Comitato Nazionale Cinese di Iso e Iec. GB sta per Guobiao, che significa, in cinese, standard nazionale, ndr) certificata con marchio Ccc (China Compulsory product Certification).
Quest’ultimo è un marchio obbligatorio di certificazione di sicurezza, in vigore dal maggio 2002 e basato esclusivamente sui GB standard. Come spiega Allavena, il marchio “può essere rilasciato solo da 15 laboratori cinesi e tutti i test necessari sono svolti solo e soltanto in uno di questi laboratori. Valido cinque anni, esso comporta ispezioni annuali del sito produttivo eseguite da ispettori cinesi o riconosciuti dal laboratorio cinese”.
La procedura base per il rilascio del Ccc prevede che sia inoltrata una domanda al laboratorio cinese autorizzato e si consegnino la documentazione richiesta e il campione, o campioni, da testare. Dopo avere eseguito il test e l’ispezione per la verifica del sistema di qualità, si procede a una valutazione complessiva e all’emissione del certificato.
Quanto detto fa riflettere sul fatto che non ci si può improvvisare esportatori verso la Cina. Allavena dichiara infatti che: “Esportare stabilmente in Cina non può essere una decisione tattica, ma richiede una strategia di prodotto ad hoc, che parta dalla progettazione e che coinvolga tecnici e responsabili della qualità. A ciò si aggiunga che sono fondamentali la conoscenza e l’applicazione dei requisiti tecnici, alle quali si deve affiancare la conoscenza delle procedure e degli interlocutori ufficiali in Cina”.

Import, cambiano le regole

Alla complessità di muoversi come esportatori verso il mercato cinese ha sempre fatto da contraltare l’estrema facilità di importare prodotti dalla Cina, per i quali i requisiti d’ingresso nei Paesi europei non sono mai stati molto elevati.
Per correggere questa tendenza, e innalzare il livello di affidabilità dei prodotti che arrivano sul mercato comunitario, l’Italia si è impegnata a elevare tali requisiti in modo da soddisfare una duplice esigenza: avere test report affidabili e ottenere una tracciabilità certa del prodotto, che può così essere ricondotto in modo sicuro all’emittente del report. “In particolare”, spiega Fabrizio Allavena, “l’Italia chiede che i test report emessi da un laboratorio in Cina siano validati dalla controllante europea del laboratorio stesso”. Tale orientamento è alla base del regolamento doganale in vigore dal gennaio 2010, secondo il quale i rapporti di prova emessi da laboratori con sede in un paese extracomunitario devono essere validati da un rappresentante della casa madre europea (consulta il Manuale Procedurale per i Controlli Doganali sul sito dell'Agenzia delle Dogane).
“Intertek”, continua Allavena, “si sta muovendo con l’Agenzia delle Dogane e con il Ministero dello Sviluppo Economico per studiare una soluzione che dall’Italia gestisca la validazione per tutti i report già in circolazione e per presentare soluzioni che dalla Cina consentano di emettere report che possano soddisfare i requisiti del Ministero italiano”.


Vademecum per chi esporta in Cina - Ultima modifica: 2010-04-07T11:41:26+02:00 da La Redazione