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L’intelligenza artificiale tra applicazioni reali e falsi miti

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Nicoletta Buora

La corsa all’intelligenza artificiale non si ferma. La troviamo ovunque e il suo impatto sull’intera società è sempre più importante. Le applicazioni in qualsiasi ambito si moltiplicano, l’evoluzione della tecnologia procede a grandi passi e questo impone un’attenzione da parte della comunità mondiale alla questione legata all’etica. Le istituzioni sono molte attive al riguardo e ora anche l’Italia ha la sua strategia sull’intelligenza artificiale

La portata rivoluzionaria dell’intelligenza artificiale (IA) è cosa nota. Così come la sua potenzialità nei più svariati ambiti, a partire dalle attività quotidiane delle persone che ne fanno già uso - a volte ancora inconsapevole - con il proprio smartphone.

L’IA sta trasformando il rapporto tra le persone e la tecnologia con un impatto sull’intera società, dalla sfera economica a quella sociale, che non può passare inosservato. Per questo sta assumendo sempre più rilevanza la questione legata all’etica dell’IA.

Le istituzioni sono molte attive al riguardo. Da un parte, la comunità mondiale sta lavorando sulle linee guida per la regolamentazione dello sviluppo di algoritmi di IA. Lo scorso febbraio l’Agenzia Britannica sulla sicurezza e l’intelligence (Gchq) ha pubblicato il rapporto “The Ethics of AI” e poco dopo è arrivato anche il report della National Security Commission on Artificial Intelligence (Nscai), statunitense, dove si fa riferimento a valori quali la democrazia e la libertà individuale in relazione all’IA.

Nel nostro Paese, il Mise ha pubblicato la Strategia Italiana sull’IA e sono state poste le basi per la costituzione di un Istituto italiano per l’IA. Non ultimo, l’IA è citata nel piano di ripresa dell’Europa Next Generation EU come una delle tecnologie chiave per il rilancio dell’economia e la trasformazione digitale.

«Non è, dunque, facile mantenere un giusto equilibrio quando si parla di IA, tra riflessioni di tipo etico-filosofico e l’ancoraggio con la realtà, anche per distinguere l’IA reale dalle idee e dai falsi miti che fanno tanto danno allo sviluppo della tecnologia stressa», ha esordito Alessandro Perego, direttore del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, aprendo il Convegno “All-In: puntare sull’intelligenza artificiale per la ripresa del Sistema Paese”, nel corso del quale lo scorso febbraio è stata presentata la ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano.

Una ricerca che ha toccato diversi aspetti dell’IA, dall’analisi del mercato italiano e delle soluzioni, alle implicazioni etiche che possono riguardare imprese, cittadini e la società nel suo complesso, dall’evoluzione tecnologica alla Strategia Italiana. Il convegno ha dato anche voce agli attori di questo mercato, sia sul fronte dell’offerta, vale a dire di chi sviluppa e personalizza algoritmi, sia su quello della domanda, cioè le imprese che adottano le soluzioni. Nell’articolo che segue abbiamo ripreso alcuni interventi raccontando le esperienze rispetto ai percorsi di innovazione in atto.

Il mercato cresce, tra software, system integration e consulenza

Nel 2020, in Italia il mercato dell’intelligenza artificiale è cresciuto del 15% rispetto al 2019 raggiungendo un valore di 300 milioni di euro, con una crescita in tutti gli ambiti.

La pandemia non ha bloccato lo sviluppo, ma ne ha sicuramente orientato l’attenzione su alcune tipologie di progetti. Ad esempio, sono cresciute sensibilmente le soluzioni di Chatbot e Virtual Assistant, spinte dallo spostamento online di attività e relazioni, ma è anche aumentata la maturità delle imprese, con una forte crescita dei progetti pienamente operativi.

Il software è il piatto forte di questo mercato, su cui si concentra il 62% della spesa, guidata dalla vendita di licenze di software commerciali e dallo sviluppo di software o algoritmi personalizzati. I servizi coprono il restante 38% del mercato e sono rappresentati principalmente da system integration e consulenza, mentre gli investimenti in hardware sono ancora marginali.

I progetti di IA che attirano più investimenti sono gli algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (Intelligent Data Processing), che coprono il 33% della spesa (+15%). Seguono le soluzioni per l’interpretazione del linguaggio naturale, il Natural Language Processing con il 18% del mercato (+9%), di cui ci si aspetta un’esplosione nel futuro, dati gli sviluppi sul fronte della tecnologia, gli algoritmi per suggerire ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation System) con un’incidenza del 18% (+15%) e le soluzioni con cui l’IA automatizza alcune attività di un progetto e ne governa le varie fasi (Intelligent Robotic Process Automation), che valgono l’11% della spesa (+15%).

Il restante 20% del mercato è suddiviso equamente fra Chatbot e Virtual Assistant (10%), che sono i progetti con la crescita più significativa (+28%) e le iniziative di Computer Vision (10%, +15%), che analizzano il contenuto di un’immagine in contesti come la sorveglianza in luoghi pubblici o il monitoraggio di una linea di produzione.

Il settore più attivo come investimenti in soluzioni di IA è la finanza (23%), seguita da energia/utility (14%), manifattura (13%), telecomunicazioni e media (12%) e assicurazioni (11%).

Più di metà delle 235 imprese medio-grandi italiane analizzate dall’Osservatorio ha attivato almeno un progetto di IA nel corso del 2020, principalmente nell’area della crescita organizzativa e culturale oltreché sulla valorizzazione dei dati e lo sviluppo di algoritmi. Una dinamica che non si riscontra nelle medie aziende, che appaiono ancora poco mature e hanno progetti attivi solo nel 21% dei casi.

Interessante da evidenziare è che il 91% del campione ha un giudizio positivo sulle iniziative di IA con risultati sopra o in linea con le aspettative, e solo il 9% sperava in risultati migliori.

Se, da un lato, la pandemia non ha frenato il percorso di avvicinamento all’IA da parte delle imprese, ne ha però ridotto le risorse disponibili. La diminuzione del budget è stata la principale barriera all’adozione delle soluzioni di IA, indicata dal 35% del campione, soprattutto nelle realtà più piccole e nei settori più colpiti come la manifattura. Gli altri ostacoli più rilevati dalle aziende sono lo scarso impegno del top management (34%), la limitata cultura digitale aziendale (26%) e la difficoltà a definire come applicare l’IA all’interno del business (26%).

La strategia italiana per l’intelligenza artificiale

Ora anche l’Italia ha un a propria strategia in fatto di IA e presto anche un proprio Istituto Nazionale per l’intelligenza artificiale. Già scorso luglio 2020 era stato messo a punto un documento di proposta per definire la Strategia Italiana per l’IA. A definirlo è stato il gruppo di esperti del Mise, costituito da 30 soggetti provenienti da mondo della ricerca, imprese e società civile, che hanno analizzato obiettivi, priorità e criticità, confrontando il panorama italiano con quello delle altre nazioni in termini di sviluppo tecnologico e pervasività delle soluzioni di IA. Nel settembre del 2020 è stato pubblicato il documento.

Il piano è strutturato in tre parti: la prima è dedicata all’analisi del mercato globale, europeo e nazionale dell’intelligenza artificiale. La seconda parte descrive gli elementi fondamentali della strategia, mentre la terza approfondisce la governance e propone alcune raccomandazioni per l’implementazione, il monitoraggio e la comunicazione della Strategia Nazionale, con una visione che evidenzia un’impronta antropocentrica e orientata verso lo sviluppo sostenibile.

I3A, l’Istituto Nazionale per l’intelligenza artificiale

«Elemento centrale del piano sono i finanziamenti, senza i quali non si può partire», ha spiegato Nicola Gatti, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence. «I primi finanziamenti sono dedicati all’apertura dell’I3A, l’Istituto Nazionale per intelligenza artificiale con l’obiettivo primario di effettuare ricerca di base e l’intento di giungere a validare soluzioni in ambienti realistici, ma non reali».

Dal punto di vista della struttura, I3A avrà un hub a Torino e una decina di nodi satelliti distribuiti sul territorio nazionali per fare sistema con le altre eccellenze che si occupano di IA presenti sul territorio. «Il modello è quello del IIT di Genova e nell’ultima finanziaria sono stati messi a budget 90 milioni di euro», ha aggiunto Gatti. «C’è poi il suggerimento di istituire un altro centro parallelo dedicato al trasferimento tecnologico che si spinga fino alla sperimentazione del prototipo in ambiente reale, per esempio all’interno dell’impresa». Parallelamente, c’è anche una forte spinta da parte dell’Europa per destinare fondi nell’ordine di qualche miliardo di euro per sviluppare l’IA.

Tre azioni strategiche per l’intelligenza artificiale

Le principali azioni strategiche individuate nel documento del Mise sono tre: la prima è rafforzare la formazione, sia a livello universitario, attivando corsi di laurea triennale e magistrale di IA, sia del personale già impiegato nelle imprese.

La seconda è incrementare la ricerca di base per essere più competitivi e poter aprire strade a nuove tecniche/tecnologie per essere applicate nelle aziende.

La terza è attivare il trasferimento tecnologico tra il mondo della ricerca e quello delle imprese, come avviene in molti altri Paesi. «Si pensi che negli Stati Uniti nel 2019 sono stati prodotti quasi 80mila lavori scientifici, di cui il 10% ha un coautore industriale, praticamente progetti utilizzabili direttamente dalle imprese», ha argomentato Gatti.

«Ma negli Stati Unti ci sono anche le bigtech, che vantano laboratori anche con mille ricercatori. È evidente che modelli come Google, Apple e Amazon non sono replicabili in Italia, ma quello che suggerisce la strategia nazionale è di avere un centro condiviso dalle aziende, le quali possono rivolgersi con format on demand o as a service per accedere alle competenze».

La prima linea da sviluppare riguarda, dunque, la formazione del personale tecnico e non tecnico. «È stimato che nel 2025 ci sarà un gap di oltre mezzo milione di posti di lavoro in ambito Ict tra domanda e offerta, già nel 2020 la figura dell’AI Engineer è stata la più richiesta su Linkedin», ha precisato Gatti. «Parallelamente bisogna anche formare management e personale del business, e far passare la sensibilità e l’importanza delle opportunità offerte dell’IA, perché sono i ruoli che decidono gli investimenti».

Secondo focus da perseguire è l’analisi delle opportunità dei nuovi casi di studio. «Oggi, le soluzioni di IA “a scaffale” rappresentano una piccola porzione di ciò che si può realizzare. Per individuare possibilità e opportunità bisogna ricorrere a casi di studio e prototipi che il mondo della ricerca può mettere a disposizione supportando così l’industria».

La terza linea riguarda lo studio di fattibilità dei progetti compresa la parte di costi/benefici e l’impatto dal punto di vista organizzativo. Un ultimo elemento è lo sviluppo dei progetti di innovazione e di ricerca vera e propria.

Quando si parla di tecnologia: dal chip di Apple M1 a GPT3 di Open AI

Nell’ultimo anno il mondo dell’intelligenza artificiale ha attraversato un fase evolutiva interessante, oltre ad aver dato prova di straordinaria resilienza in risposta alle sfide non convenzionali poste dalla pandemia. Ma quanto e cosa è stato fatto in ambito IA? Ne ha parlato Manuel Roveri, Responsabile della Ricerca, Osservatorio Artificial Intelligence.

Manuel Roveri, responsabile della Ricerca all’Osservatorio Artificial Intelligence

«Per capire quanto è stato fatto si utilizza come indicatore il numero dei lavori scientifici che sono stati sottomessi a Neurips, la principale conferenza internazionale in ambito di intelligenza artificiale e dai dati emerge che la ricerca in ambito IA non ha affatto sofferto nel corso del 2020, anzi sembra aver trovato nuovi spunti e scenari applicativi».

Più difficile è rispondere alla domanda su cosa è stato fatto, data la quantità delle attività che ruotano intorno all’IA. «Noi abbiamo identificato tre grandi eventi , che abbiamo raggruppato secondo uno schema un po’ originale di pirandelliana memoria: Uno, Nessuno e Centomila».

Il primo evento, Uno, riguarda il premio Best Paper Award assegnato da Neurips al Politecnico di Milano e in particolar al gruppo di ricerca del prof. Nicola Gatti, un traguardo importante non solo per l’Ateneo, ma anche per la ricerca italiana.

Il secondo, Nessuno, è un po’ una provocazione per segnalare come un importante evento tecnologico che ha portato a un avanzamento nella tecnologia dei chip sia passato inosservato, quasi sotto traccia. Si tratta dell’annuncio del chip M1 di Apple che offre un paradigma diverso rispetto a quanto finora proposto per la computazione per l’IA.

Con M1, Apple introduce un hardware specifico, superando il concetto delle classiche cpu general purpose. M1 è in grado di eseguire un set limitato di istruzioni, ma in modo efficace e veloce e con tempi di latenza molto bassi. Inoltre, il chip neurale di Apple ha consumi energetici molto bassi. «Per progettare un sistema di IA efficace ed efficiente è, infatti, necessaria la coprogettazione di hardware per IA, software di ambiente per IA, quindi framework, piattaforme e tool e poi applicazioni per IA. E con M1, Apple è sul pezzo».

Anche Centomila, il terzo evento, suona come una provocazione ed è legato al grande clamore che ha suscitato l’avvento di GPT3 di Open AI. GPT3 è un modello di linguaggio che sta diventando molto popolare. La sua notorietà è passata dalla comunità scientifica (è stato uno dei tre Best Paper Award assegnati da Neurisp nel 2020) al grande pubblico quando lo scorso settembre è stato pubblicato sul Guardian il primo articolo interamente scritto da un’intelligenza artificiale.

GPT3 è basato su un concetto autoregressivo che utilizza l’apprendimento profondo per produrre testo simile a quello umano, ma anche prosa, poesia e codice per pc. È addestrato su testi che sono stati prodotti da milioni di persone. Per dare un’idea, Wikipedia rappresenta solo il 3% del training set su cui è stato addestrato. Ma il suo codice non viene rilasciato perché ritenuto pericoloso per la generazione di fake news. Eccoci di nuovo di fronte al grande dilemma che ci pone l’intelligenza artificiale in merito a un uso buono o cattivo, che solo la menta umana potrà farne. In più, addestrare una rete come GPT3 richiede enormi risorse e sono in tanti a chiedersi chi potrà farlo.

 

 

L’intelligenza artificiale tra applicazioni reali e falsi miti - Ultima modifica: 2021-05-19T15:24:12+02:00 da Nicoletta Buora