Sicurezza vissuta

Garantire l’incolumità dei lavoratori deve rappresentare una prerogativa di qualunque azienda. AI ha incontrato alcune realtà, profondamente diverse tra loro, per capire come affrontano i problemi quotidiani e come riescono a districarsi nel sempre più complesso panorama normativo

Leggi la rivista ⇢

  • n.305 - Settembre 2022
  • n.304 - Luglio 2022
  • n.303 - Giugno 2022

Ti potrebbero interessare ⇢

Massimiliano Cassinelli

Il mercato propone innovative soluzioni di sicurezza e le normative sono sempre più pressanti. Ma come affrontano e vivono questi problemi gli utenti finali?

Protezioni su misura

L’attenzione alla sicurezza rappresenta una prerogativa per qualunque macchina firmata da Mecal, l’azienda di Frascarolo (Pv) specializzata nella produzione di macchine e sistemi di lavorazione per profilati in alluminio e Pvc. Del resto, spiega il Product Manager Volker Schmidt, “tutte le nostre soluzioni sono progettate nel modo più sicuro possibile e nel rispetto delle normative in vigore, riuscendo così a garantire una sicurezza intrinseca”.
Non possiamo però dimenticare, come ammette lo stesso Schmidt, che in fase di vendita la sicurezza rappresenta un autentico costo, che incide soprattutto sulle macchine più piccole e di minor prezzo: “le linee di maggiori dimensioni spesso possono essere rinchiuse all’interno di barriere fisiche, che minimizzano la probabilità di incidenti durante il normale funzionamento.
Al contrario, sulle apparecchiature di minori dimensioni, nelle quali vi è un contatto diretto con l’operatore, è più difficile riuscire a garantire la sicurezza e anche le soluzioni adottate, che incidono in percentuale significativa sul costo, non sempre riescono a proteggere adeguatamente l’operatore”.
Lo sforzo dei progettisti rimane comunque elevato, soprattutto in considerazione del fatto che, “come indicato dalle direttive, le protezioni non devono incidere sull’usabilità di una macchina, perché altrimenti l’operatore è indotto a trovare il modo per eludere tali protezioni e, quindi, poter lavorare più agevolmente. Questo significa che i sistemi di sicurezza devono essere realizzati in modo adeguato, perché in caso contrario sono rimossi, esponendo le persone a un rischio ancora maggiore”.
La stessa normativa, del resto, solleva il costruttore dalla responsabilità, in caso di incidente, solo se la protezione è stata studiata in modo adeguato. Al contrario, è ritenuto corresponsabile quando sia dimostrato che tale protezione rappresenti un autentico impedimento alla normale operatività e non siano state valutate soluzioni alternative dal punto di vista tecnico ed economico.
L’esperienza di Schmidt, che proviene dalla Germania, permette al Product Manager di Mecal di confrontare anche la situazione italiana con quella degli altri Paesi europei. “Negli ultimi anni l’attenzione ai problemi della sicurezza è cresciuta notevolmente anche in Italia, arrivando ai livelli di Francia e Germania dove, in passato, la sensibilità era decisamente superiore”.

Prevenzione... inutile

Per un’azienda focalizzata sul controllo di processo, le problematiche di sicurezza sono vissute in modo indiretto.
Eppure, come spiega Andrea Faciocchi, amministratore di Step Progetti, “nella nostra attività quotidiana ci rendiamo conto di come, in numerose installazioni, norme di sicurezza eccessivamente oppressive rappresentino un impedimento per gli operatori che, quindi, hanno la sensazione di ‘perdere tempo’ proprio a causa della sicurezza.
Quando si diffonde una simile convinzione, gli operatori cercano di bypassare o ignorare le protezioni e le norme di prevenzione. Si ottiene così l’effetto opposto rispetto a quello desiderato dal normatore. Spesso, per chi opera sul campo, è difficile capire che un eventuale aggravio dei tempi o una parziale riduzione della produttività possono salvare la vita. Soprattutto chi ha maggiore esperienza, infatti, si autoconvince che non sarà mai vittima di un incidente”.
Simili atteggiamenti sono evidentemente sbagliati, ma Faciocchi ritiene che anche i normatori dovrebbe essere meno rigidi. “Chi detta le norme, spesso, non sa cosa significhi lavorare effettivamente sul campo. La sicurezza deve essere un obiettivo fondamentale per qualunque azienda e, indubbiamente, la vita di una persona vale più di tutto. Ma l’eccesso di imposizione non contribuisce a far percepire la sicurezza come un autentico valore aggiunto. Per questo ritengo che sarebbe opportuno trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di un’azienda e quelle della sicurezza. In molti casi, infatti, sono imposte protezioni anche nelle zone in cui non esiste un rischio reale. Un simile eccesso suscita un atteggiamento negativo nei confronti dei sistemi di sicurezza, inducendo poi a sottovalutare i pericoli reali, poiché il personale non riesce più a distinguere gli ambiti realmente pericolosi rispetto a quelli in cui le protezioni costituiscono solo un componente formale”.

Formazione continua

Il rispetto delle norme rappresenta un obbligo al quale le aziende devono necessariamente attenersi. Secondo Antonio Campri, della direzione produzione detergenza di Deco Industrie, però, è altrettanto importante “investire sulla formazione del personale di linea, perché una maggiore cultura specifica permette di prevenire anche tutti i rischi residui o quelli dovuti ad azioni non corrette. In qualunque processo industriale esiste sempre un margine di rischio, ma è possibile prevenirlo se il personale conosce esattamente tutti i possibili pericoli connessi alla propria attività quotidiana e le modalità per evitarli”. È un aspetto particolarmente importante nell’industria chimica, in cui opera Deco, dove le materie prime possono essere modificate nel corso del tempo, inducendo così pericoli sempre nuovi. “Per tale ragione”, riprende Campri, “è fondamentale proporre una formazione continua che, oltre a mantenere alta l’attenzione, consenta di essere sempre aggiornati sui nuovi sviluppi normativi e sulle caratteristiche dei singoli prodotti utilizzati”.
Una simile attività, però, non è sempre gradita agli operatori che spesso la subiscono in modo passivo. “Negli ultimi anni”, continua Campri, “complice la risonanza data dai mass media, l’atteggiamento del personale è cambiato notevolmente. In passato, infatti, la formazione e l’utilizzo delle protezioni erano vissuti come un’imposizione, mentre oggi c’è una crescente collaborazione. A questo cambiamento di mentalità ha contribuito, in modo determinante, anche l’atteggiamento di maggior condivisione delle regole e delle norme di sicurezza, poiché il personale si sente parte attiva del processo di sicurezza stesso e, insieme, possiamo trovare la soluzione adeguata ai singoli problemi”.
Il settore chimico è stato uno dei primi a investire sulla sicurezza con norme ben definite e codificate. Eppure, in termini complessivi, il numero di infortuni in questo segmento industriale non diminuisce sensibilmente. A questo dato negativo, secondo alcuni osservatori, contribuisce anche l’aumento di velocità delle macchine utilizzate, che rende più difficile garantire adeguati livelli di protezione. Una valutazione che Campri non condivide. “Non esiste un legame diretto fra la maggior velocità e la probabilità di subire un infortunio. In realtà i rischi crescono quando non sono rispettate le norme. Certo, nel tempo, le macchine sono divenute sempre più veloci e i processi produttivi sempre più rapidi, ma in parallelo i costruttori sono stati costretti a realizzare apparecchiature caratterizzate da un maggior grado di sicurezza. Non sono, quindi, le linee ad essere meno sicure, ma le persone a non rispettare le regole”.
Proprio per quanto riguarda le regole e il relativo rispetto, la nuova Direttiva Macchine, entrata in vigore lo scorso dicembre, è salutata in modo positivo da Campri. “Per noi la sicurezza rimane un obiettivo fondamentale e l’introduzione della Direttiva Macchine 2006/42/CE non ci crea nessuna difficoltà, in quanto gli oneri sono tutti a carico dei costruttori di macchine. Noi, invece, abbiamo il dovere di chiedere e verificare il rispetto di questa direttiva. Certo, per i costruttori, questo rappresenta un aumento del carico di lavoro, ma aumenterà anche il livello di sicurezza, consentendoci di formare i nostri operatori e di renderli edotti di tutti i rischi presenti”.

Un’occasione
per innovare...

Dai grandi impianti chimici alle officine meccaniche, la distanza sembra abissale. Eppure i problemi della sicurezza sono spesso analoghi. In particolare, quando si immagina una pressa in azione, è immediato pensare ai possibili rischi di schiacciamento. Non per nulla, proprio le presse sono più spesso proposte come esempio dei possibili pericoli in cui può incorrere un operatore. Una situazione che ben conosce Michele Prandelli, titolare di Praber, l’azienda bresciana di Bagnolo Mella specializzata nell’automazione e nella revisione di presse e bilancieri. L’avvento della Direttiva Macchine 2006/42/CE ha indotto Prandelli a rivedere radicalmente l’intera automazione delle presse, puntando sempre più sull’elettronica. “Con l’aiuto di un consulente specializzato stiamo investendo sull’implementazione di plc e bus di sicurezza, le cui caratteristiche consentono di aumentare la protezione degli operatori e far scendere il costo della manodopera che, come dimostra la crisi attuale, incide in modo determinante sui bilanci delle aziende”.
La sicurezza, quindi, può diventare un’opportunità per modernizzare i propri impianti e aumentarne l’efficienza. Anche se lo stesso Prandelli sottolinea come, per ottenere risultati davvero apprezzabili, sia necessario affrontare investimenti economici. “Il maggior utilizzo dell’elettronica comporta, necessariamente, l’aumento dei costi che, soprattutto sulle piccole macchine caratterizzate da prezzi nell’ordine dei 50mila euro, possono diventare percentualmente significativi. Per aumentare la competitività, però, è oggi fondamentale cambiare radicalmente la mentalità degli imprenditori”.
Un processo di cambiamento che richiede tempi lunghi e che Prandelli sta cercando di guidare attraverso una serie di incontri diretti con i propri clienti: “È difficile spiegare i vantaggi offerti dall’elettronica, non solo per quanto riguarda la sicurezza, ma anche l’incremento della produttività. Certo i costi iniziali risultano maggiori, ma non possiamo dimenticare che, a differenza della componentistica meccanica, l’elettronica non è soggetta ad usura e, quindi, le caratteristiche di prevenzione dei pericoli rimangono invariate nel tempo. Anche il numero di guasti risulta sensibilmente minore”.
A una simile considerazione molti obiettano che, pur essendo minore il numero di guasti, in caso di problemi è necessario rivolgersi a personale specializzato e caratterizzato da costi elevati. Un’osservazione che Prandelli condivide solo parzialmente. “Il costo di una macchina deve essere valutato su più anni, mentre non è corretto confrontare il prezzo di un singolo intervento. L’investimento in una pressa è ammortizzato in un paio di decenni e, nel tempo, sicuramente norme ed esigenze cambiano. Una soluzione controllata dall’elettronica può essere modificata in tempi brevi e conservando elevato il livello di sicurezza. Al contrario, se i controlli e le protezioni sono affidati a soluzioni elettromeccaniche, in futuro gli interventi potrebbero risultare particolarmente onerosi, sia dal punto di vista produttivo sia nell’ottica di garantire il rispetto delle normative”.

…ma lasciateci innovare!

Una voce critica, nei confronti della nuova Direttiva Macchine e della burocrazia, è quella di Stefano Eleonori. Il responsabile engineering di Goglio-Cofibox, l’azienda di Cadorago, in provincia di Como, specializzata in soluzioni di imballaggio, sottolinea come le realtà produttive siano oggi gravate da “una serie di adempimenti burocratici che pesano anche dal punto di vista organizzativo, costringendo le aziende a redigere migliaia di pagine per ‘dare evidenza’ a quanto è stato fatto, ma che non portano nessun vantaggio tangibile”.
Eleonori, ovviamente, non sottovaluta l’importanza dell’incolumità del personale, ribadisce però che “la sicurezza non dipende dai modelli organizzativi o dai moduli formali, ma deve essere fatta con le persone. Noi di Goglio siamo molto attenti al rigoroso rispetto delle indicazioni di legge, ma siamo convinti che la vera sicurezza debba essere fatta sul campo, non sulla carta”.
Oltre che sul campo, la sicurezza deve essere parte integrante delle macchine e, per tale ragione, Eleonori si confronta costantemente con i propri fornitori. “Ancora prima dell’entrata in vigore della Direttiva 2006/42/CE abbiamo cercato di dialogare direttamente con i nostri fornitori, per realizzare insieme il progetto della macchina, così da inserire nativamente tutte le protezioni che riteniamo fondamentali per la nostra attività. In realtà ci siamo resi conto che è spesso difficile, a livello progettuale, individuare i possibili rischi che si incontreranno quando una macchina sarà installata realmente. Anche per tale ragione, oltre a chiedere il rispetto delle direttive ai nostri fornitori, in fase di collaudo investiamo molto tempo, con la collaborazione di consulenti specializzati, nell’individuazione di tutte le possibili fonti di rischio. È questo un processo delicato, nel quale coinvolgiamo direttamente anche il nostro personale, che diventa così parte attiva della sicurezza. Inoltre formiamo costantemente i capiturno, in modo che siano loro stessi a dialogare con i singoli operatori per spiegare, anche nel quotidiano, come prevenire i possibili pericoli. Le indicazioni teoriche, spesso, non sono fatte proprie da chi lavora quotidianamente su una macchina, mentre si ottengono risultati decisamente migliori quando l’interlocutore è una persona che vive le medesime problematiche”.
Benché questa modalità operativa abbia contribuito a ridurre sensibilmente gli incidenti, il
Dlgs 231/01 impone alle aziende di dotarsi di modelli organizzativi che spieghino, nel dettaglio, come svolgere ogni singola attività. “Un lavoro devastante”, sintetizza Eleonori, “che distoglie la nostra attenzione dal reale obiettivo di un’azienda: fare innovazione. La legge ci impone di dare evidenza a quanto si fa per la sicurezza: un’attività che richiederebbe una persona dedicata. Il mercato, però, non ci conosce questo aggravio di costi. È indispensabile prestare la massima attenzione all’incolumità delle persone, ma imbrigliare l’operatività di una realtà produttiva a causa di gravosi, e spesso inutili, adempimenti burocratici rischia di far diminuire la competitività sui mercati internazionali”.
Per un’azienda di medie dimensioni come Goglio, la burocrazia rischia quindi di essere eccessivamente gravosa, mentre la vera sicurezza si ottiene investendo quotidianamente sulle persone e prestando la massima attenzione alle macchine. Proprio su quest’ultimo aspetto Eleonori appare decisamente critico. “Su una delle ultime linee consegnate abbiamo individuato una serie di criticità dal punto di vista della sicurezza e, con l’aiuto di un nostro consulente, ci siamo scontrati più volte con il fornitore per ottenere tutti le protezioni che ritenevamo essenziali. Un simile contrasto, in particolare, si acuisce quando ci interfacciamo con aziende molto grandi, i cui esperti di sicurezza interni sono più tolleranti nei confronti dei propri colleghi progettisti. Io, al contrario, credo sia necessario verificare sul campo la reale assenza di pericoli o, quantomeno, fare il possibile per minimizzarli. E tutto questo può essere fatto solo in fase di collaudo e con la collaborazione di tutti.
Certo la nuova Direttiva Macchine impone la predisposizione dei manuali, in cui dovrebbe essere indicato anche come prevenire i rischi residui, ma si tratta spesso di documenti realizzati in modo approssimativo e teorico, che non sempre aiutano realmente gli operatori”.

Incidenti ridotti del 90%

Il difficile rapporto con alcuni fornitori, lamentato da un’azienda di medie dimensioni, è vissuto in modo differente da una realtà di respiro internazionale come il salumificio Fiorucci.
Come spiega l’Engineering Director Marco Valeri, “abbiamo chiesto e ottenuto da tutti i nostri fornitori il massimo rispetto delle più recenti norme in materia di sicurezza, sia per quanto riguarda gli aspetti meccanici ed elettronici, sia per quanto riguarda la manualistica. Una simile modalità operativa ci ha permesso di installare, all’interno degli stabilimenti, esclusivamente macchine caratterizzate da un elevato livello di sicurezza. Ed è emblematico il fatto che, dal 2000 ad oggi, gli incidenti si siano ridotti del 90%”.
Un risultato che Fabio Chiominto, responsabile del servizio protezione e prevenzione di Fiorucci, presenta con orgoglio, anche in considerazione del fatto che molte realtà del medesimo settore, pur di dimensioni significative, non hanno raggiunto i medesimi livelli di sicurezza. “Abbiamo investito molto sulla parte progettuale e su un confronto serrato, con i nostri fornitori, sin dalla fase di ingegnerizzazione.
I nostri progettisti lavorano a stretto contatto con quelli del fornitore stesso e, prima di chiudere definitivamente il contratto, verifichiamo che siano soddisfatti tutti i requisiti di sicurezza.
Si tratta di un’attività molto impegnativa, ma che per noi è diventata una prassi”.
Il rispetto delle regole di sicurezza, come prescrive la nuova Direttiva Macchine, nasce quindi con la macchina stessa. Anche se Chiominto sottolinea come non sempre i fornitori siano attenti alle effettive esigenze dell’utilizzatore. “Certo, come prescritto, il manuale viene redatto in italiano, ma trattandosi di apparecchiature uniche può accadere che la traduzione sia approssimativa o che parte degli schemi elettrici riporti indicazioni nella lingua del costruttore.
Il che comporta qualche problema, soprattutto in fase di manutenzione, se permangono termini in tedesco”.
Difficoltà di tipo burocratico, invece, si riscontrano sulle linee complesse, nelle quali sono coinvolti più fornitori ed è difficile definire adeguatamente le responsabilità, soprattutto quando devono interfacciarsi macchine differenti. Un caso in cui è necessario esercitare quella che Chiominto definisce “una certa pressione sul fornitore”.
Il successo di Fiorucci induce a una riflessione: per quale ragione, malgrado le normative e il ‘potere contrattuale’ degli utenti finali, in molte realtà il numero di incidenti sul lavoro non diminuisce in modo significativo? La risposta, questa volta, arriva da Valeri. “In generale, nel nostro Paese, c’è ancora poca cultura della sicurezza nativa. Accade così che le protezioni sono studiate solo in un secondo tempo. La sicurezza, invece, deve essere vissuta come un valore aggiunto e non come un’imposizione. Finché non si realizzerà un vero cambiamento di mentalità, gli incidenti continueranno a essere numerosi”.

Sicurezza vissuta - Ultima modifica: 2010-02-04T15:25:28+01:00 da La Redazione